Fino al 2 dicembre a Vi Art l’artista thienese Daniele Cazzola espone le ‘sue  creature femminili’. La mostra “Storia di assenza di sguardi, di volti e di figure” si pone come evento collaterale alla grande mostra alla Basilica di Vicenza, proponendo ritratti in chiave originale e inusuale.

  Vivi e lavori come grafico a Thiene, ma dal lavoro a farne un’espressione artistica il passo spesso non è breve, come sei partito e da cosa trai ispirazione per le tue opere?

 

 Ho sempre avuto  passione per il disegno, come tanti della mia generazione sono cresciuto a manga e cartoni animati, ma uno in particolare quando ero piccolo è stato per me come una folgorazione, Moby Dick. Da lì ho iniziato a coltivare un mondo interiore votato al mistero, alimentato da Hayao Miyazaki e Hideaki Anno di cui ricalcavo stile e disegni, arricchito dai miti di Atlantide, dalle riflessioni sul destino dell’uomo, dalle scienze esoteriche e dalle vecchie civiltà, ed evoluto poi in ricerche personali di alchimia e simbologia. Essendo grafico lo studio dei simboli e del loro significato è diventato parte del mio lavoro, per cui sono diventati elemento chiave delle mie opere. Un altro punto importante di crescita l’ho trovato nella letteratura, un grande maestro come Jules Verne, scoperto da piccolo grazie a un regalo di mio padre, mi ha permesso di ritrovare ciò che cercavo per far crescere il mio mondo fantastico interiore. Inoltre Moebius, grandissimo maestro di stile nel disegno. Lavorando nella comunicazione ho potuto poi approcciarmi anche alla moda e ne ho apprezzato la ricerca stilistica, il lavoro che sta dietro alla realizzazione di un abito o di un costume teatrale, ho studiato e studio tuttora i vari periodi storici ricavandone elementi chiave per le mie opere.

 

I tuoi soggetti sono sempre donne, eteree e misteriose, come mai hai scelto di esprimerti attraverso la figura femminile?

Le figure che rappresento sono raffigurazioni di sogni, incubi, personaggi cresciuti nel mio inconscio, reincarnazioni di momenti e sensazioni o di scoperte. Figure femminili perché ovviamente sono idealizzazioni di una partner che condivide con me quel particolare momento di ispirazione. Sono eteree perché per me sono come custodi di un tempio dove abitano i miei incubi e i miei sogni, arcani maggiori che sigillano un significato nascosto al loro interno, sacerdotesse di un culto privato e personale dove religione, alchimia e segreti si intrecciano. Per esempio The Nun è la figura che ti introduce all’interno di questo spazio ideale e che ti costringe a rimanere in silenzio per non disturbarne la sacralità. Ogni figura ha un compito, fa parte di una sceneggiatura che esiste nella mia mente e che sto cercando di svelare pian piano.

 

Hai definito la tua tecnica “pittura grafica”,ma quanto lavoro c’è dietro ad ogni tua opera?

All’inizio disegnavo ad olio ma essendo grafico, e avendo bisogno di un risultato immediato per concretizzare il flash creativo mentale, i tempi derivati dall’asciugatura dilungavano i tempi di esecuzione e mi portavano alla noia verso il soggetto, così lo abbandonavo e passavo al successivo. Nel digitale ho trovato il mezzo espressivo adatto, sfruttando a pieno gli strumenti di photoshop che essendo il mezzo di lavoro privilegiato per la mia professione è diventato anche il pennello ideale per realizzare le mie opere. Mediamente un’opera richiede una settimana di lavoro. Le prime erano realizzate sfruttando anche texture e motivi ricavati da moschee e cattedrali, in Nelumbo Nucifera per esempio l’abito è partito da 3 semplici fili d’erba ridisegnati a mano e continuamente deformati.

 

Ti riconosci effettivamente nel titolo della mostra: “Storie di assenza di sguardi, volti e figure”?

Si, mi rispecchio. Non l’ho deciso io, ma effettivamente osservando le mie opere chi non mi conosce e non indaga nel significato di una figura ha l’impressione che questa sia muta e assente. Penso che nell’arte figurativa un viso sia la chiave di lettura di un quadro, se non capisci o non ti sforzi di capire lo sguardo e l’insieme che lo contorna, il quadro diventa una tela nera e serve solo per abbellire la stanza. Ragiono alla vecchia maniera, ritengo che ormai solo illustratori come Mark Ryden, pittori come Saturno Buttò, geni dell’animazione come Hayao e Otomo abbiano il diritto di rapportarsi ai grandi del passato come  Caravaggio, Leonardo ecc… L’arte sperimentale è morta con Andy Warhol, ho studiato 8 anni la storia dell’arte e ritengo che non esista più innovazione in questo campo al di là dei nomi sopra citati, ormai si fa arte con un dito su un ipad e conta solo il concetto e non l’esecuzione, nel mio piccolo cerco di avvicinarmi ai grandi nomi del passato ma la strada è umile e lunga.

 

La mostra è aperta e visitabile a Vi Art, Palazzo del Monte di Pietà di Vicenza, fino al 2 dicembre dal martedì alla domenica dalle 10 alle 12.30 e dalle 14 alle 19, ingresso libero.

 

Nicole Zavagnin

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia