I Lions Club Thiene Colleoni, ingranano la marcia con il nuovo presidente Andrea Simonato e vogliono ripartire con i loro service, mettendosi alle spalle il periodo dell’emergenza Covid, di cui ha sofferto anche l’associazionismo. Ora il club vuole ‘tornare a vivere’, ma non vuole dimenticare. Per questo, il neo presidente ha inaugurato il nuovo anno, invitando due medici, due promesse del Veneto, due giovani professionisti, che hanno vissuto in prima linea la pandemia, rischiando la vita per mettere la loro a disposizione del prossimo. Due ‘cervelli’, che non sono fuggiti all’estero, ma sono rimasti in patria, per dare la loro competenza perchè credono fortemente nel valore della Salute.
Veronica Vanin e Riccardo Boetto hanno 38 anni. Sono marito e moglie e in attesa di una bambina. Due medici che hanno voluto raccontare la loro esperienza in trincea, con lei che da gastroenterologa si è dovuta catapultare nei reparti, dove si curano i pazienti affetti da Covid al Cà Foncello di Treviso ed ha vissuto quello che nemmeno il più ‘anziano’ dei colleghi aveva mai visto.
‘Tutti sono convinti che noi medici abbiamo una sorta di cinismo, ma vi assicuro che non è stato facile rimanere distaccati dalle tragedie, alle quali assistevamo ogni giorno. Persone sotto un casco, che facevano fatica a respirare, sole, con gli occhi terrorizzati di chi non sa se vivrà o sta per morire. – ha raccontato la dottorezza Vanin, con gli occhi lucidi, che spiegavano la durezza di una prova di vita, che l’ha segnata per sempre – . La gioia di vedere guarire chi ce la faceva a sopravvivere, veniva subito spezzata dall’arrivo di altri malati, per i quali non c’era tempo da perdere. Il dolore di chi non sopravviveva e moriva dopo sofferenze atroci, senza la parola di conforto di un parente, che non poteva entrare a dargli l’ultimo saluto. Toccava a noi medici, agli infermieri, agli oss farlo. Mi è capitato di dover scrivere un testamento sotto dettatura per esaudire l’ultimo desiderio di un uomo, che aveva capito che sarebbe deceduto nella manciata di pochi minuti. E non è stato durissimo solo per quel fiume di morte, che ogni giorno attraversava i corridoi dell’ospedale, è stato drammatico anche vedere colleghi provati, terrorizzati da un virus, che falciava vite e strappava affetti. La paura di infettarsi, l’uso di due mascherine per proteggerci, quando l’idea del vaccino era un sogno, che vedevamo lontano. Operatori sanitari non hanno visto le rispettive famiglie per mesi per non metterli a rischio. Io non ho incontrato i miei genitori per lungo tempo’.
Un racconto che ha tenuto inchiodata l’attenzione dei presenti al ristorante La Rua di Carrè, dove si sono riuniti soci e ospiti dei Lions Colleoni. Parole, che hanno descritto scene che qualcuno ha visto solo nei servizi televisivi e che si stenta a credere siano reali. ‘ Abbiamo vissuto l’arrivo del vaccino come una provvidenza e non riesco a credere, che alla luce del numero di morti che il mondo intero ha subito, si faccia fatica a convincere le persone a proteggersi. E’ vero che il vaccino non evita del tutto il contagio, ma se sei vaccinato, non finisci in ospedale e non muori, come è accaduto a persone, che non ce l’hanno fatta, che hanno perso la vita perchè quando si sono ammalate, ancora non esisteva il siero anti covid. Evitare l’ospedalizzazione inoltre, significa non occupare posti letto. Ci sono persone che necessitano di cure ospedaliere. Se non si riduce l’ospedalizzazione, ne fanno le spese tutti coloro i quali devono usufruire dei servizi sanitari, che a causa dell’emergenza Covid 19 sono stati ridotti e nei momenti più drammatici, addirittura sospesi. Se ci vacciniamo, il virus non ci riduce in condizioni critiche, non rischiamo la vita e possiamo curarci a casa. Le persone devono capirlo e per questo devono vaccinarsi. Per proteggere se stesse, ma anche per evitare di andare ad occupare posti letto che servono per tante altre patologie, la cui cura non va rallentata’.
Dopo la testimonianza della dottoressa Vanin, nella sala si è vissuto un momento di commozione e ammirazione per questa coppia di giovani medici veneti, che hanno fatto della loro vita una missione per il prossimo. Riccardo Boetto è infatti un esperto di trapianti, di quelli che girano in elisoccorso per trasportare fegati che salvano esistenze.
Anche lui ha raccontato di come sia cambiata la vita in ospedale a causa del Covid, che non attenta solo la vita di chi rischia di prenderlo, ma che ha mutato la sanità in genere con intere generazioni di operatori sanitari che non sono più gli stessi.
Dopo il racconto dei due medici ha chiesto di prendere la parola il sindaco di Thiene Giovanni Battista Casarotto, che in questi mesi ha sempre tenuto un profilo basso sul tema Covid, riducendo il più possibile le sue dichiarazioni sulla pandemia. ‘Io davvero non capisco, ascoltando il racconto di questi giovani medici, come si sia passati da una fase in cui dipingevamo il nostro personale sanitario come autentici eroi ad una fase di repulsione, che sa sfociare nell’odio – ha detto il primo cittadino guardando la dottoressa con le mani sul suo pancione – . Ricordo che durante il primo lockdown benedicevamo chi rischiava la vita, avevamo pensieri di dolore per tutti coloro che l’hanno persa per curare quella altrui. Adesso, la diffidenza nei confronti dei medici non la comprendo. Tutto d’un tratto, ci si dimentica di questi professionisti, che con la carenza di personale che si registra da qualche anno, si sono dovuti fare in quattro, hanno fatto turni di lavoro estenuanti per dare il loro contributo in un momento storico. Com’è possibile che non ci si fidi più di loro e della scienza? Questo Covid sta lasciando strascichi in tutte le sfere della società. Occorrerà recuperare e non sarà facile. Siamo stati messi a dura prova in tutti i sensi e chiedo al Lions, che è sempre stato in prima linea, di dirottare progetti e service in quelle parti della nostra comunità, che più hanno sofferto’.
Natalia Bandiera