Padre Diego Dalle Carbonare è da molti anni in Sudan, una terra che poco conosciamo e della quale si sente per lo più parlare in occasione di tragici eventi.
Ed proprio da questa terra martoriata che Padre Diego – 38enne originario di Cogollo del Cengio, missionario comboniano dirigente nel Comboni College di Khartoum – raccoglie la sfida di spiegarci il senso della fede e di quel ‘credere’ diventato oggi così difficile: “le chiese sono sempre più vuote” ha denunciato l’Osservatore Romano evidenziando come la pandemia abbia ulteriormente acuita una crisi che parte in vero da molto lontano.
Suona strano che a parlarci del senso profondo della fede sia un uomo che ha abbandonato gli agi e le comodità ‘occidentali’ per vestire l’abito sacro in mezzo agli ultimi: quegli ultimi che poi non è detto che ti vedano sempre di buon occhio come la recente vicenda di Monsignor Carlassare ci ha ampiamente dimostrato.
Una scelta di vita forte, consapevole del rischio, ma comunque determinata a non arretrare di un millimetro rispetto a quella chiamata che già di per sè suona quasi scomoda: quel “Vieni e seguimi” a cui Padre Diego ha detto il suo “Eccomi” senza esitare, senza fare calcoli, il cuore ogni oltre ostacolo. Una scelta di fede, per l’appunto.
Don Diego, anche alla luce di quanto accaduto a Padre Christian Carlassare, ci dice qual è il senso della vostra missione specie ora che la situazione egoisticamente suggerirebbe di lasciare quel mondo a sè stesso e al suo destino?
L’attentato a Padre Christian come la vicenda che ha visto tragicamente coinvolta la missionaria laica Nadia De Munari ci rivela ancora una volta che i piani del Signore sfuggono alla nostra comprensione: non si prendano queste parole come un modo per aggirare l’ostacolo, davvero nel male queste storie paradossalmente già stanno portando nuova forza a chi è impegnato lontano da casa. Parliamoci chiaro. chi ha sparato a Padre Christian che era a Rumbek da sole due settimane, non voleva colpire lui come persona, ma il Vangelo che lui rappresenta. Beh, questo Vangelo ne esce ancora più rafforzato, più autorevole: un autogol clamoroso per chi pensava di ottenere l’esatto contrario.
Il suo messaggio è molto potente: quasi stride con lo ‘spopolamento’ cui stiamo assistendo anche nelle nostre Chiese dove ormai resistono i giovanissimi e i nostri anziani. Cosa significa nel 2021 frequentare la Chiesa e ‘credere’?
Dobbiamo partire da un dato storico e sociale: fino a qualche decennio fa la Chiesa era ancora soprattutto un luogo di ritrovo per la Comunità, specie nei nostri paesi dell’alto Vicentino a carattere prevalentemente agricolo: andarci era confermare l’appartenenza alla Comunità, un rito quasi dato per scontato. Oggi abbiamo altri punti di aggregazione che non sono più dettati dal luogo dove viviamo ma sono frutto di una scelta, ai nostri giorni molto più che nel passato. Un scelta consapevole, la volontà di vivere un percorso spirituale che non si ancora alle convenzioni e alle opportunità ma che riguarda intimamente sè stessi: sono quindi convinto che i numeri di chi frequenta sono calati, ma sono altresì certo che è aumentata la qualità e questo mi fa dire che oggi credere ha una valore se possibile ancora più forte.
Mi faccia capire un’ultima cosa: a volte lei stesso vive barricato in casa perchè tensioni, rivolte e contrasti sono sempre dietro l’angolo e sembrano sempre travolgere tutto e tutti. Come veicolare messaggi di pace e di unità in un mondo sempre più incattivito e sempre più riluttante ad accogliere e comprendere il bene?
Bella domanda. Vede, il tema non è come veicolare il messaggio, ma COSA si vuole che arrivi. Sarò più preciso: la pace va annunciata dove c’è guerra così come la vita va gridata in mezzo alla morte. Papa Francesco stesso col suo pontificato ci ha insegnato a concentrarci sull’essenza della parola: le strade ci sono, ma vanno percorse con coraggio e laddove l’umanità si ferma e sperimenta il dolore, lì più forte deve arrivare il Vangelo. Un po’ come il medico che accoglie il paziente grave: le modalità di intervento hanno un valore, ma primariamente ciò che conta è salvargli la vita.
Marco Zorzi