Il 2020 delle cattive notizie, almeno sul fronte ambientale, ci ha lasciato qualcosa di buono in eredità: il buco dell’ozono da record del 2020 che incombeva sopra l’Antartide si è chiuso proprio alla fine di dicembre – esattamente il 28 – dopo una stagione eccezionale a causa delle condizioni meteorologiche naturali e della continua presenza di sostanze che riducono lo strato di ozono nell’atmosfera.
A comunicare la buona notizia è l’organizzazione mondiale della meteorologia (Omm-Wmo) ricordando che il buco era cresciuto rapidamente da metà agosto scorso, raggiungendo il picco di circa 24,8 milioni di chilometri quadrati il 20 settembre e diffondendosi così su gran parte del continente antartico: questo aveva impensierito non poco gli scienziati che monitoravano l’evoluzione del fenomeno con particolare apprensione.
L’Omm rileva che si è trattato del buco più duraturo e tra i più grandi e profondi dall’inizio del monitoraggio iniziato ben 40 anni fa.
Questo buco è stato provocato da un vortice polare forte, stabile e freddo e da temperature molto fredde nella stratosfera (lo strato dell’atmosfera tra circa 10 km e circa 50 km di altitudine) – spiega l’Omm – gli stessi fattori meteorologici che hanno contribuito al buco dell’ozono record nell’Artico del 2020. Una situazione in contrasto con il buco dell’ozono antartico insolitamente piccolo e di breve durata che c’è stato nel 2019.
“Le ultime due stagioni del buco dell’ozono dimostrano la sua variabilità di anno in anno e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità” – ha affermato Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’Omm. “Abbiamo bisogno di un’azione internazionale continua” – aggiunge – “per applicare il protocollo di Montreal che vieta le emissioni di sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono”.
L’ozono è un gas che nella stratosfera funge da filtro solare per la vita sulla Terra: per capirne l’importanza vitale basti pensare che i bassi livelli di ozono antartico hanno fatto registrare alti valori dei raggi ultravioletti sull’Antartide e sull’estremo sud del Cile e dell’Argentina, livelli paragonabili a quelli che di norma si registrano ai tropici.
Il Protocollo di Montreal venne ratificato nel 1987 allo scopo di ridurre progressivamente l’uso dei gas (un centinaio di sostanze chimiche definite “ozone depleting substances”, ODS) che distruggono l’ozono, i cosiddetti clorofluorocarburi (Cfc).
In assenza di questo protocollo la situazione sarebbe ben peggiore: si stima che stante il trend attuale i gas potrebbero scomparire del tutto dall’atmosfera nell’arco di qualche decennio, a patto che l’uomo mantenga fede all’impegno preso.
Marco Zorzi