di Fabrizio Carta
L’ennesimo dippicciemme è arrivato, portando con sé nuove chiusure e nuovi obblighi, sempre più maldigeriti dagli operatori e dagli esercenti. La gente è stanca. Questa volta, dopo mesi, le piazze si sono riempite e nelle maggiori città italiane si sono verificati disordini e proteste.
Anche il solito spettacolino della presentazione del DPCM non è stato lo stesso. Giuseppi ha perso il solito smalto e la solita sicumera, vestendosi per l’occasione da babbonatale: fate i bravi così mangerete il panettone. Tutti insieme appassionatamente, nella versione invernale del “torneremo tutti a riabbracciarci” primaverile.
Così, dopo aver mandato controlli dei NAS a tappeto, dopo aver preteso costosissimi adeguamenti, le palestre vengono chiuse, contraddicendo quanto detto e promesso appena una settimana fa. Qual è l’evidenza scientifica secondo cui le palestre sono luoghi di contagio più pericolosi della metro di Milano alle 7 del mattino?
Vengono imposte inoltre le chiusure di piscine, palestre, parchi tematici, e dei comprensori sciistici appena riaperti per la stagione invernale. I cinema ed i teatri, nonostante i dati dell’associazione generale italiana dello spettacolo ci dicano che c’è stato un solo caso, contando ben 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli nel periodo che va dal 15 giugno al 15 ottobre, vengono di nuovo chiusi. Anche in questo caso non si ha idea di dove risiedano le motivazioni scientifiche della chiusura.
Tutte le attività dei servizi della ristorazione, bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, dovranno chiudere alle 18.00; non si potrà più andare a cena al ristorante, al massimo a merenda. Questa soluzione di semi-lockdown, poi, è peggio della chiusura totale: gli operatori pagheranno tutti i soliti costi, ma con la possibilità di lavorare solo a pranzo. Inoltre, per quelle attività (tantissime) che fanno solo cena, la chiusura alle 18 equivale ad una non apertura. Anche in questo caso una soluzione cervellotica ed immotivata.
Il Governo sembra aver perso la rotta. Dopo aver passato sei mesi da cicala, autoglorificandosi per aver sconfitto il virus, occupandosi di monopattini e bonus vacanze (per poi poterti dare dell’untore perché sei stato in vacanza), adesso ci riprova con il lockdown.
In questi sei mesi le priorità dovevano essere l’assunzione dei medici, il potenziamento degli ospedali e dei trasporti, le previsioni delle coperture economiche in caso di nuove chiusure forzate. Invece in sei mesi si è pensato esclusivamente a spargere regalie e a correre dietro alle campagne elettorali ed alla ricerca di consensi per il referendum.
Ci troviamo così, sempre più stanchi, a contare i posti letto in intensiva, per scoprire che la Regione Lombardia nel frattempo aveva previsto un incentivo per i dirigenti che avessero riconvertito i reparti Covid, così da recuperare le entrate delle prestazioni specialistiche ridotte proprio a causa del covid. Mostruoso e disumano!
Nel frattempo, il ministro Speranza scriveva un libro su come fosse stata sconfitta la pandemia in Italia, grazie alle sue potenti doti taumaturgiche. Doveva uscire in questi giorni, ma per ovvi motivi il lancio è stato rinviato. Non che non potesse scriverlo, sia mai, ma avrebbe potuto spendere il proprio tempo magari semplicemente svolgendo il proprio compito di ministro, per cui viene lautamente ricompensato.
Per non parlare poi della scuola, che perdendosi in sterili dibattiti “rotelle sì, rotelle no”, sbagliava a far di conto in relazione all’assunzione del cosiddetto “organico covid”, che avrebbe dovuto sostenere il potenziamento dell’insegnamento in quest’anno che già si prevedeva molto delicato. Conclusione: il Veneto, insieme alla Toscana e l’Abruzzo, ha dovuto fermare le nuove assunzioni.
Questa chiusura forzata, fatta in questo modo e con questi tempi, è un vero e proprio attentato ai settori interessati, un suicidio per la nostra economia. Vengono promessi i soliti sussidi, ma che credibilità può avere un governo che ha lasciato ben 12.000 persone senza cig da maggio? Molti contributi a fondo perduto, poi, non sono mai stati erogati perché sono finiti i fondi (appena rifinanziati); e le aziende ancora aspettano.
Intanto l’ultima stima di Confindustria prevede un ulteriore crollo del Pil di altri due punti percentuali, che aggiungendosi alla precedente previsione sposta l’asticella negativa al -11/-12%. Il danno per l’economia è stimato in 216 miliardi, superiori ai soldi promessi dall’Europa con il Recovery Fund. Il MEF, nel frattempo, ci fa sapere che nei primi otto mesi dell’anno ci sono state entrate per 32,2 miliardi in meno rispetto al 2019. Da dove arriveranno i soldi?
Un’idea ce l’ha Enrico Giovannini, ministro del Lavoro, secondo cui gli aiuti alle attività danneggiate devono essere condizionati agli impegni con il Fisco, perché per lui l’unico modo di uscire dalla crisi è la lotta all’evasione. E così promette tante nuove verifiche fiscali a chi ha ricevuto gli aiuti, accertamenti che dovranno valutare “la coerenza delle future dichiarazioni con i nuovi indici sintetici di affidabilità fiscale, oppure approfondimenti ad hoc.”
Gira e rigira si ricade sempre sul mantra dell’evasione fiscale e del recupero dell’evasione, cura e panacea di ogni male.
Ma queste dichiarazioni rischiano di essere oggi deflagranti. In un momento di tensione sociale come mai si era vista negli ultimi decenni, creare in questo modo schieramenti e fazioni fra la gente, non fa altro che acuire il senso di rabbia e frustrazione, e spingere verso nuovi disordini.
Noi ci auguriamo un’inversione di rotta del Governo, che vengano seriamente rivalutati gli impatti di queste nuove restrizioni, tanto a livello socio-economico, che a livello psicologico, e che ci vengano proposte scelte scientificamente e giuridicamente motivate, che siano partecipate e condivise dalle aziende, dai tecnici e dai professionisti, con valutazioni corrette e coerenti con la realtà fattuale dell’economia italiana.
Perché gli italiani le regole fino ad oggi le hanno sempre rispettate; le nostre aziende i loro millemila protocolli li hanno adottati, accollandosene i costi. Quelli che non hanno fatto il proprio dovere sono proprio loro, che anziché pianificare la ripresa hanno preferito fare altro, preferendo – come sempre più spesso accade – la spettacolarizzazione ad un più sano pragmatismo.
Ad maiora!