Nel 1980 un uomo era anziano a 66 anni e una donna a 70, nel 2000 l’anzianità arrivava a 70 anni per gli uomini e 74 per le donne. L’età anagrafica, però, non è più indicativa della terza età, merito soprattutto dell’aspettativa di vita che si è allungata, per cui oggi un uomo è anziano da 73 anni e le donne da 76.
Nel 2060, stando alle previsioni, si potrebbe arrivare rispettivamente a 76 e a 79. Un bel balzo rispetto agli anni Sessanta. L’analisi è contenuta nel Rapporto annuale dell’Istat che nel capitolo dedicato alle condizioni di vita degli anziani rileva come non valga più neanche «lo stereotipo di persone isolate e bisognose di assistenza continua tanto da rappresentare un peso per la società e per le famiglie». La qualità della vita, ovviamente, è correlata alle condizioni di salute – osserva l’Istituto di statistica – e anche quando non sono ottimali, si esprime un grado «buono» di soddisfazione per la vita.
“Quasi il 50% degli ultraottantenni vive un’ottima qualità della vita, dimostrando di essere molto attivo, di avere una rete di relazioni estesa e una partecipazione culturale discreta, a volte anche intensa», sottolinea l’Istat precisando che nelle aree metropolitane, vive «circa l’11,9% degli ultraottantenni, che hanno un livello di istruzione mediamente più elevato, che si associa a una più intensa partecipazione sociale: l’88,5% prende parte ad attività culturali, il 93,9% si interessa di politica, oltre il 70% si dedica alla lettura ed è molto più attivo della media rispetto all’utilizzo di internet» e nell’insieme «svolgono più spesso attività fisica».
Circa il 33% di questa fascia della terza età (cioè 2 milioni e 137mila), gode di buona salute, risiede soprattutto nel Nord e dichiara risorse economiche ottime o adeguate. Quindi «esprime elevati livelli di soddisfazione per la vita nel complesso, frequenta gli amici assiduamente, ha una rete anche di parenti e e conoscenti su cui può contare in caso di bisogno».
In sostanza, sintetizza l’Istat, «gli anziani non sono gli stessi di una volta» e queste considerazioni offrono l’opportunità di valutarne meglio l’impatto progressivo dal punto di vista sociale ed economico. C’è però anche una quota di anziani, pari al 27%, che si trova in condizioni svantaggiate: sono persone affette da una o più patologie croniche, con gravi limitazioni nelle funzioni e risorse economiche quasi sempre scarse o insufficienti. Quelle che vivono in piccoli centri sono in forte isolamento sociale, senza una rete di amici o di conoscenti su cui contare, in prevalenza donne, vedove e vivono nel Mezzogiono.