I cittadini di Valli del Pasubio, come quelli di Valdagno si mobilitano contro i danni collaterali del mini elettrico, come viene identificato nel linguaggio burocratico quel tipo di impianti che traggono energia elettrica attraverso turbine che sfruttano i salti d’acqua di piccole e medie dimensioni.
Alcune associazioni del mondo che ha a cuore il rispetto dell’ambiente hanno dato vita ad un presidio per sensibilizzare la classe politica ed i propri concittadini.
“Lo chiamano minielettrico ma i problemi che questo tipo di impianti procura al territorio ed all’ecosistema fluviale è tutt’altro che piccolo – spiega Cristina Guarda a margine del presidio a Valli del Pasubio – Sono stata accanto a molti cittadini che alzano la voce contro Minicentraline idroelettriche che producono pochissima energia elettrica, ma deturpano in maniera davvero preoccupante”. Uno sfruttamento seriale che preoccupa una intera vallata: a Valdagno, dopo lo stop, l’azienda ripropone il progetto con alcune modifiche; a Valli il Leogra è già sfruttato per oltre il 90% della sua acqua, quando la via cumulativa imporrebbe al massimo l’80 per cento.
“Non sono contraria all’utilizzo di fonti rinnovabili di energia, anzi credo che questa sia la strada giusta. Ma non si può cedere a forme di speculazione basata sugli incentivi legati ai certificati verdi. Siamo di fronte ad impianti, spesso, che servono più a incassare gli incentivi che alla effettiva produzione di energia elettrica – denuncia la consigliera regionale del Coordinamento Veneto 2020 – Non importa se l’impianto produce poche kilowatt: costa poco intubare un ruscello per 1 o 2 chilometri e metterci una piccola turbina ed il gioco è fatto. Il trucco sta nel prendere gli incentivi, coprire la spesa e guadagnare sul resto. A discapito però del territorio e delle casse pubbliche”.
Rimangono poi aperte, secondo i cittadini che hanno manifestato assieme a Cristina Guarda, problematiche quali il deflusso minimo vitale per la fauna che insiste sui corsi d’acqua interessati dalle mini centrali e la ricarica della falda oltre al tema delicatissimo del ripristino ambientale nel caso, tutt’altro che remoto, della chiusura di impianti di questo tipo.