Il fondatore di Schio ‘compie’ 200 anni e se la città esiste, se la sua zona industriale è un riferimento per l’Italia intera e se gli operai oggi godono di diritti e dignità per loro e i loro figli è tutto grazie a lui.

Alessandro Rossi, intellettuale pragmatico e sognatore, ha cambiato la storia dell’imprenditoria italiana e piantato il seme dell’industria più creativa, intraprendente e innovativa che ci sia al mondo: quella italiana.

A raccogliere il testimone il trisnipote, che del “grande avo” porta il nome e la classe innata. Ha molte più cose in comune con il ‘nonno’ di quante lui stesso si renda conto di avere, ma se azzardi un paragone alza la voce e con un’umiltà che spiazza commenta: “Essere discendente è un onore senza merito”.

C’è un altro Alessandro Rossi oggi, discendente diretto e trisnipote del ‘padre’ di Schio.

Vivo a Como, ho casa a Schio, sono scledense a tutti gli effetti e parlo il dialetto perché lo ritengo fondamentale come espressione del nostro territorio. Del trisnonno porto orgogliosamente il nome.

E’ festa grande a Schio per il bicentenario di Alessandro Rossi. Che cosa dovrebbero sapere gli scledensi prima di tutto e di che cosa dovrebbero sentirsi orgogliosi?

Innanzitutto il grande avo, come lo chiamiamo in famiglia, oltre ad avere creato un’azienda che è stata un riferimento per l’imprenditoria nazionale, ha dato ai suoi dipendenti una grande dignità. Non si comportava da ‘padrone’ come era in uso all’epoca, ma pretendeva il benessere per gli operai che lavoravano in azienda e per le loro famiglie. Ha fatto in modo che studiassero, che fossero in salute, che potessero garantire istruzione e benessere ai loro figli, che acquistassero un’abitazione di proprietà. Lo stato sociale che c’è oggi è una sua creazione.

Ha anche avviato i sindacati per la tutela dei dipendenti prendendo ispirazione da viaggi in Inghilterra e Francia e ha fatto in modo che fossero seguiti in ambito sanitario. Le mense, con pasti caldi e posto per riposarsi, esistono oggi grazie a lui. E a livello industriale realizzò cambiamenti epocali…

Viaggiava moltissimo e da ogni luogo visitato portava a casa qualche cosa. Da Belgio e Inghilterra fece arrivare tecnici e tecnologia nel campo del tessile e a loro affidò il compito di formare i lavoratori, per importare a tutti gli effetti le maestranze. All’epoca qui c’era la cultura delle lane, ma il nonno ha trasformato l’artigianato in industria.

Creando di conseguenza un polo industriale.

Certamente. Perché di conseguenza si sono sviluppate moltissime attività e aziende per dare risposta all’indotto creato dalla Lanerossi. Aziende di tubi, macchine, meccanica avanzata e tantissimi altri prodotti necessari al lanificio. E’ stato da lì che è nato lo sviluppo industriale, anche grazie ad operai che si sono formati, sono cresciuti e a loro volta hanno avviato nuove aziende. Attività che hanno creato posti di lavoro, generato benessere, imposto modifiche al territorio.

Come la creazione di strade, della ferrovia, la Fabbrica Alta.

Assolutamente. Opere impattanti, che hanno permesso al territorio di crescere, di diventare un punto di riferimento. Quando mi guardo attorno a Schio e vedo tutto quello che è stato realizzato grazie al trisnonno mi riempio di orgoglio, rimango ogni volta colpito. E’ bello sapere che mio nonno ha ‘dato il via’ a tutto questo.

La Fabbrica Alta da sempre è il l’orgoglio di Schio, ma è anche una grande responsabilità per chi amministra, perché è un fiore all’occhiello che meriterebbe di essere valorizzato al meglio. Che cosa le piacerebbe venisse fatto nella Fabbrica Alta?

Vorrei venisse valorizzato il grande rispetto per il Sociale che aveva il nonno. Mi piacerebbe venissero organizzate conferenze, mostre, che ci fossero progetti di formazione e diffusione di cultura. Vorrei fosse un luogo in cui si possa divulgare lo stesso amore per le persone, per la cultura, per l’istruzione che aveva il mio avo. Cose che lui voleva per i suoi dipendenti e per i loro figli, che ha ‘educato’ a studiare e formarsi. Imprenditori bravi ce ne sono tanti, ma sono pochi quelli davvero interessati alla vita dei loro dipendenti. Mi dica, quale imprenditore oggi dedicherebbe un monumento ai suoi dipendenti? Il mio trisnonno lo ha fatto, con il monumento ‘Al Tessitore’.

A lei, nipote, brillano gli occhi quando parla dell’amore del nonno per il Sociale. E nell’intimità, che uomo era Alessandro Rossi?

Un uomo molto colto, religioso, una persona decisamente di livello superiore alla media, umile, fino al suo ultimo giorno voleva imparare, conoscere. Ma quello che ci è rimasto di più di lui è la spiccata sensibilità sociale. La sua grandezza era quella di volere veramente bene agli uomini e si adoperava senza tregua per dare ad ognuno la possibilità di formarsi, stare bene e realizzarsi.

Che cosa ha ereditato lei dal ‘grande avo’?

Sinceramente, io non ho la sua testa (ride). Lui era un genio, io sono una pulce al suo confronto. Posso solo dire che lui era interessato alla tecnologia, io ho una grande, grandissima passione per i motori.

La mitica Peugeot Type 3, la prima auto circolante in Italia. Se oggi come ieri è tornata a rombare è grazie a lei …

Rimetterla in moto con le mie mani è stata una emozione fortissima. Era di proprietà del museo di Torino e io e un amico l’abbiamo chiesta per partecipare alla London-Brighton, gara riservata alle auto precedenti al 1905. Era la più vecchia. Quando ero giovane ho lavorato ogni estate a Schio in un’officina meccanica, prima degli studi in ingegneria. Il museo ce l’ha prestata e ci siano messi al lavoro. Quando si è accesa mi sono commosso e quando l’ho comunicato al direttore del museo di Torino è venuto ad abbracciarmi.

Oggi è il presidente dell’Historic Club Schio. La passione per le auto è consolidata.

Ogni anno, con un amico, faccio il rally con auto d’epoca sulle Alpi francesi, a gennaio. Sono auto senza freni, decapottabili, senza riscaldamento, ci divertiamo come dei pazzi. In un giorno percorriamo 9 passi di montagna, nella neve. Se le auto si fermano ce le ripariamo. E poi mi faccio ogni anno almeno duemila chilometri con moto d’epoca.

Lei ha molte più cose in comune di quante pensi, ma è riservato e modesto. In lei prevale il lato tecnico o quello fantasioso?

Il trisavolo era un sognatore, aveva grandi idee e sapeva realizzarle. Io sono un ingegnere, molto pratico, con la passione per i motori. Però forse qualche cosa, nel dna, è rimasto, anche se per un ingegnere alcune cose sono piuttosto semplici. Una volta, in casa, ero addetto a cambiare i canali della televisione. Per agevolarmi ed evitare di alzarmi, ho inventato un piccolo telecomando che funzionava grazie ad un ricevitore che riceveva un impulso di luce mandato da una torcia.

Vede, è il dna di chi sa immaginare cosa servirà in futuro, come il nonno. Altro?

Da giovane amavo ascoltare musica e quando andavo a letto dovevo spegnerla. Allora ho inventato una sveglia collegata alla radio, che la spegneva ad una certa ora. E poi mi ero fatto una casa sotto ad un tavolo, con tanto di impianto di illuminazione e riscaldamento. Non saprei se è il dna del nonno o la passione per la tecnologia, di certo amo smontare gli oggetti per vedere come sono fatti e, una volta compreso, li rimonto. Nella tecnologia cerco il pensiero dell’inventore, voglio sapere che cosa c’è dietro.

Essere discendente di un personaggio così importante è più un onore o una responsabilità?

E’ senz’altro un onore. Essere discendente è un onore che non prevede nessun merito. La responsabilità invece è un’altra cosa, è quella che abbiamo tutti nei confronti del prossimo: abbiamo tutti la responsabilità di essere persone oneste.

Anna Bianchini

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